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 Se i giovani trascurano la previdenza integrativa
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metodico
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Inserito il - 17 dicembre 2007 : 20:58:05  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di metodico  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di metodico Invia a metodico un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Ciao vi riporto qui un articolo che DEVE essere letto da voi GIOVANI, ovviamente pubblicato anche da noi di Alagoas:

di Massimiliano Di Pace

Il cambiamento del sistema previdenziale non è ancora percepito da tutti. Lo dimostra il numero piuttosto limitato degli iscritti alla previdenza complementare: 3,2 milioni rispetto ai 23 milioni di occupati, dei quali 17 milioni lavoratori dipendenti.
Eppure la pensione media percepita dai 16,5 milioni di pensionati è un po’ meno di 1.300 euro lordi al mese, ed accanto agli 1,6 milioni di pensionati che hanno una pensione mensile di oltre 2mila euro, ve ne sono altri 4 milioni che non arrivano a 500 euro al mese, affiancati da ulteriori 5 milioni che devono cavarsela con una pensione compresa tra 500 e 1.000 euro.
Eppure la spesa pensionistica è la componente più elevata della spesa pubblica: 215 miliardi di euro nel 2005 secondo i dati Istat-Inps, mentre la Banca d’Italia ha certificato che nel 2006, su 745 miliardi di euro di spesa pubblica complessiva, ben 253 miliardi erano stati destinati a prestazioni sociali in denaro, che comprendono anche trattamenti come la cassa integrazione.
Non è quindi una sorpresa che il tema delle pensioni sia al centro delle attenzioni di tutti i Governi. Il motivo dell’interesse è chiaro: dato che la spesa pensionistica rappresenta ormai circa un terzo della spesa pubblica totale, e dato l’andamento demografico, ecco che la questione previdenziale è sempre presente nelle agende di tutte le coalizioni.
Insomma tutti riconoscono che il sistema previdenziale va rivisto, ed al tempo stesso tutti sono d’accordo su un punto: i diritti acquisiti non si toccano, quindi le pensioni attuali non possono essere ridotte, e neppure è possibile rivedere in modo significativo i meccanismi di calcolo delle pensioni per gli attuali lavoratori. Insomma spetta alle prossime generazioni sopportare il peso delle riforme. Ed a questa filosofia è stata ispirata l’unica vera riforma del sistema pensionistico italiano, la riforma Dini del 1995, che ha modificato il sistema di calcolo delle pensioni, passando dal retributivo al contributivo, ma solo per coloro che cominciavano a lavorare dal 1996 (ed in parte anche per coloro che avevano meno di 18 anni di contributi a fine 1995).
Di fatto, il nuovo sistema comincerà ad entrare in funzione dopo il 2015, ossia quando inizieranno ad andare in pensione coloro che avevano meno di 18 anni di contribuzione a fine 1995, per entrare a pieno regime solo nel 2035, quando diventeranno pensionati quelli che avevano iniziato a lavorare nel 1996.
Le differenze tra i due sistemi non sono di poco conto. Per coloro che hanno il sistema retributivo è importante solo avere stipendi alti negli ultimi 10 anni di lavoro, poiché è alla media di questi stipendi che si applica il coefficiente dell’80% per calcolare la pensione, ovviamente se hanno avuto 40 anni di contributi, altrimenti questa percentuale si riduce di 2 punti per ogni anno di contribuzione in meno.
Invece i lavoratori con il sistema contributivo devono preoccuparsi di accumulare contributi il più possibile fin dall’inizio. Tanto per fare un esempio, con gli attuali coefficienti, che ciascuno di noi può leggere sull’estratto conto contributivo, si scopre che per avere da 65 anni in poi 2.000 euro di pensione mensile lorda (che vuol dire circa 1.600 euro netti), occorre aver accumulato 400mila euro. Infatti, applicando a questo montante il coefficiente 6,136%, si ottiene poco più di 24mila euro, che diviso 12 dà appunto 2mila.
Insomma, se non si hanno contributi pari a 10mila euro l’anno (per 40 anni), ossia una media di circa 30mila euro lordi annui di stipendio, non ci si può attendere una grande pensione. Con questi chiari di luna è evidente che deve cambiare la mentalità dei lavoratori, soprattutto di quelli più giovani, non sempre consapevoli di questa nuova realtà.
Ecco dunque che le forme previdenziali complementari, prima solo un optional, diventano ora sempre più necessarie. Esse sono costituite principalmente da fondi pensione aperti, ossia gestiti da banche o da assicurazioni, e da fondi pensione chiusi (detti anche negoziali), istituiti dalle associazioni dei datori di lavoro e dai sindacati, per specifici settori produttivi, che rappresentano il cosiddetto secondo pilastro del sistema pensionistico. Spetta al lavoratore scegliere quale fondo utilizzare, destinandovi innanzitutto il Tfr, sebbene vada detto che i fondi pensione chiusi possono essere alimentati anche da contributi ulteriori previsti dai contratti collettivi. Va però riconosciuto che la pensione ottenibile da questi fondi, se alimentati solo dal Tfr, può essere circa pari ad un quarto di quella ottenuta dall’Inps o dagli altri enti previdenziali, visto che il contributo previdenziale è il 33% dello stipendio (23% per i collaboratori), mentre quello del Tfr è solo il 7,4% del salario.
Non va quindi escluso neppure il terzo pilastro del sistema previdenziale, dato dai piani individuali previdenziali, basati su polizze sottoscritte con compagnie assicurative del ramo vita. Secondo la relazione della Covip per il 2006, vi sono oggi solo 3,2 milioni di iscritti alla previdenza complementare, di cui 1 milione con le polizze individuali, ed il rimanente nei fondi pensione. La debolezza della previdenza complementare è ancora più evidente se si considera che sono state accumulate risorse per le prestazioni pari a 51 miliardi di euro, neppure un quarto della spesa pensionistica di un solo anno (214 miliardi di euro).

B U O N E F E S T E A T U T T I

http://www.alagoas.it

la scienza è progresso
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