Preambolo
Finalmente le tanto meritate vacanze sono iniziate anche per me, e colgo l’occasione per finire finalmente questo post in elaborazione oramai da tanto tempo, come al solito cortesemente corretto da Valentina. Qui descriverò un argomento abbastanza lungo, difficile e ‘spigoloso’ per i profani ed esperti, anche se penso che tutti lo conoscono almeno un po’ per sentito dire.
Parleremo dell’olfatto, un argomento non facile da raccontare in un post divulgativo senza ‘smussare’ qua e là il mosaico di teorie e di esperimenti che sono stati fatti fino ad ora.
L’Olfatto: Alcuni dettagli ovvi
Come al solito mi servirò inizialmente di qualche punto di riferimento per metterci d’accordo ed inizierò dagli odori che sono causati, come tutti voi sapete, da molecole sprigionate dalle sostanze e disperse nell’aria che respiriamo, dove raggiungono il nostro naso. L’altro punto di riferimento utile si trova subito dietro il naso e sopra la volta della nostra cavità buccale dove passano tutte le molecole che noi respiriamo. E’ una cavità rivestita da una mucosa di circa 10 cm2 che attraverso la solubilizzazione, la dispersione, l’adsorbimento e quant altro, ferma una porzione delle molecole che si trovano nello stadio aeriforme nella cavità nasale e le disperde nel fluido mucoso. Qui le molecole possono incontrare una o più cellule recettoriali olfattive (ORC), in un uomo adulto se ne contano circa 10-20 milioni, ricche di propagini dette ciglia e di proteine dette recettori olfattivi (da qui chiamate Odorant Receptor OR).
I OR hanno il compito ‘legare’ in maniera più o meno specifica alcuni gruppi funzionali di queste molecole presenti nel fluido mucoso, ed innescare una cascata di eventi che si amplifica fino ad attivare la cellula recettrice e scatenare la propagazione del ‘segnale odoroso’. Il cervello, a sua volta, provvederà ad interpretare il segnale in diversi stadi con una serie di meccanismi molto complessi. Per dettagli ed approfondimenti potete guardare questo link.
Fin qui il tutto è quasi scontato ed ovvio, però dalla teoria alla pratica c’è una notevole differenza, vi dico subito che ancora oggi ci sono vari lati oscuri che cercherò di descrivervi in parole semplici, portandovi ai problemi scientifici in maniera intuitiva per quanto sia nelle mie capacità.
Quanti odori esistono?
Come penso molti di voi possono intuire, esiste un numero inimmaginabile di odori, e la maggioranza di questi è causato da un mix di ‘odori primari’ in diversi rapporti, ma a complicare la situazione c’è che una molecola odorosa può agire su decine di recettori diversi con diversa specificità. I OR dei composti aminici, ad esempio, riconoscono solamente l’azoto primario, secondario o terziario con diversa efficacia, per cui gli odori di questi composti non possono essere discriminati con facilità e sembrano tutti molto simili. C’è da dire però che nonostante questa piccola sovrapposizione di segnali si possono discriminare con elevata sensibilità circa 10.000 odori diversi.
Ciò premesso, consentitemi da questo punto in poi di semplificare e di concentrarci esclusivamente sugli ‘odori primari‘ che sono riconosciuti quasi esclusivamente da un solo tipo di OR e che danno una sensazione odorosa molto precisa.
Cosa c’è di difficile?
Nel mondo animale, il non saper distinguere l’odore di una preda dall’odore del proprio predatore fa la differenza tra fare una buona colazione ed essere la colazione di qualcun altro. Anche riconoscere l’odore delle cose che si possono mangiare da quelle che è meglio evitare è fondamentale per la sopravvivenza, quindi i mammiferi durante l’evoluzione hanno accumulato più di 1.000 geni che sovraintendono il più misterioso dei 5 sensi. In pratica più del 3% del genoma dei mammiferi è deputato alla percezione degli odori, e dato che questi recettori possono riconoscere anche più tipologie di molecole con diversa affinità determinando una combinazione di interazioni intermedie, questo amplifica esponenzialmente il ventaglio di sensazioni che possono dare le molecole presenti nell’aria.
La chiave di volta per ottenere un buon olfatto è sicuramente il collegamento tra le cellule recettoriali odorose (ORC) ed il cervello, ovvero quel meccanismo che consente di poter capire quale specifico OR è stato attivato. Si tratta di un meccanismo per nulla banale, e come punto di riferimento, possiamo considerare l’esempio del gusto, dove i recettori cellulari sono generati in base alla localizzazione sulla superficie della lingua. Nel cervello si forma una sorta di correlazione tra aree specifiche corticali ed aree della lingua denominata ‘mappa sensoriale‘. A questo consegue che è possibile percepire il salato, l’amaro, il dolce ed l’acido in base a quale zona della lingua è stata stimolata maggiormente.
Possiamo trasportare questa ipotesi nell’olfatto, ed immaginare che l’area in cui si trovano le ORC determina anche il set di recettori da esprimere. Ipotizziamo che ciascuna cellula recettrice dell’olfatto possa esprimere un centinaio o più OR localizzati in diverse aree della mucosa nasale. Ogni area in cui vi sono le ORC potrebbe essere correlata ad una zona del cervello a cui corrisponderebbero determinate sensazioni odorose.
Quanti recettori per cellula?
Sapere quanti tipi di recettori sono presenti per cellula è fondamentale per capire quante aree ci dovremmo aspettare di trovare e per verificarlo potremmo ricorrere a tecniche avanzatissime di in situ hybridization, e di retrotrascrizione ed amplificazione per PCR su singola cellula. Ovviamente non sono tecniche facili e nemmeno tanto diffuse, ma gli esperti sono riusciti a dimostrare con questi esperimenti che ogni ORC esprime solamente un singolo OR.
Una cosa simile avviene durante il differenziamento cellulare, dove la combinazione di alcuni fattori trascrizionali decide l’attivazione di meccanismi sempre più specializzati che ‘bloccano’ l’espressione specifica di determinati geni. Questo meccanismo, definito ‘deterministico’, è quello maggiormente utilizzato durante la specializzazione cellulare nel nostro organismo. Potremmo ipotizzare un meccanismo simile per le ORC in cui dalla combinazione di alcuni fattori trascrizionali si determina l’attivazione dell’espressione di un singolo OR.
Verifica della Teoria Deterministica
Secondo questa teoria la combinazione casuale o pseudocasuale di fattori trascrizionali per esprimere un singolo OR non può essere disturbata dalla coespressione di un OR transgenico scelto da noi. Per verificare questa teoria ‘deterministica‘, quindi, possiamo generare un topo transgenico in cui alcune ORC esprimono in maniera forzata un determinato OR scelto da noi e valutare se c’è coespressione.
Il risultato è interessante, non c’è alcuna sovrapposizione di segnali tra il OR espresso forzatamente da noi ed un qualsiasi altro recettore olfattivo endogeno. In pratica l’espressione forzata del nostro OR transgenico non permette di esprimere un qualsiasi altro OR endogeno, e se si tenta di generare un topo transgenico con una espressione forzata di due OR diversi nella stessa ORC, queste muoiono per apoptosi. Questi dati non sono di certo a supporto per la teoria deterministica, evidentemente la scelta del recettore olfattivo è un meccanismo molto più complesso. Ad aggiungere benzina sul fuoco c’è un’altra prova interessante, ovvero le ORC possono cambiare più volte il recettore odoroso espresso prima di prendere contatto con il cervello (maturazione cellulare). La teoria deterministica è molto fallace con questi risultati, poco probabile che sia quella buona.
La Teoria Stocastica
Un’altra teoria che si è fatta strada nel tempo è basata sulla casualità della scelta del OR espresso (teoria stocastica). Per capirci immaginiamo un fattore trascrizionale unico che sia in grado di legare il promotore di tutti i geni dei OR e di consentirne l’espressione; tecnicamente può legarsi ad un solo OR e quindi può esprimere solo quello. Se il fattore trascrizionale non è molto efficiente nell’esprimere un OR si potrebbe spiegare come mai una ORC cambia OR nei primi stadi pur seguendo sempre la regola di esprimere un solo OR alla volta. In seguito, quando un OR espresso dà un forte segnale di funzione (feed-back) il fattore trascrizionale si fissa sul gene che sta trascrivendo fino allo stadio di maturazione.
E’ una teoria che funziona e che spiega anche i risultati dei topi transgenici; il OR transgenico blocca l’espressione di altri recettori attraverso un feed-back abberrante. Però, come al solito la teoria va convalidata, e c’è l’imbarazzo della scelta sul come; una prova schiacciante potrebbe derivare dall’eliminazione del feed-back recettoriale. In particolare potremmo alterare un gene OR in modo tale da codificare un recettore non funzionante pur conservandone la struttura genica.
I risultati dimostrano che il topo transgenico non esprime mai un OR non funzionante, probabilmente proprio per la mancanza del feed-back del recettore maturo necessario per fissare la scelta. Per esserne sicuri, è stata effettuata una controprova per dimostrare che le ORC tentano di esprimere il OR non funzionante, e che solo successivamente cambiano la scelta su un altro gene OR che funzioni. Per dimostrarlo si è generato un topo transgenico in cui l’espressione anche transiente del recettore non funzionante provoca un danno irreversibile al DNA della stessa cellula (tecnica Cre/LoxP), ed i risultati hanno mostrato che le ORC scelgono il OR transgenico e non funzionante con la stessa probabilità di tutti gli altri OR, sebbene questa scelta sia cambiata prima della maturazione cellulare per mancanza di feed-back. Un’altra prova conclusiva e schiacciante è che la generazione di un topo trangenico che esprime un OR esogeno e non funzionante non disturba l’espressione dei OR endogeni. Questo dimostra che è la funzione di un OR a bloccare l’espressione dei OR endogeni, non la struttura e l’espressione dei geni OR endogeni.
La spina nel fianco per la Teoria Stocastica
La teoria stocastica fino ad ora ha sempre soddisfatto tutti i dati sperimentali ottenuti, ma ciononostante ha un punto debolissimo. Questa teoria è retta dalla possibilità di poter innescare la trascrizione di qualsiasi dei 1.000 geni dei OR da uno o pochi fattori trascrizionali, e questo sarebbe possibile solo nel caso in cui i geni OR presentino una sequenza consenso che li identifichi nel genoma. Ebbene, nonostante molti ricercatori si siano impegnati nell’analisi di omologie di sequenze tra i geni degli OR, i risultati ottenuti sono stati alquanto deludenti; con i dati attuali si potrebbero raggruppare non più di una decina di geni degli OR per volta tirando in ballo meccanismi di riconoscimento improbabili.
E se fossero dei Linfociti?
Se ci pensate, esiste un meccanismo di scelta molto simile che avviene nei linfociti. Queste cellule, però, non decidono l’anticorpo da esprimere in base a fattori trascrizionali, ma attraverso una ricombinazione genetica guidata. Si tratta di una piccola deviazione della teoria stocastica ed è anche risolutiva.
Come al solito dobbiamo convalidare tale teoria… ed escludiamo subito la proposta di sequenziare l’intero genoma di singole cellule, sarebbe difficilissimo e ci vorrebbero tanti anni! Possiamo ricorrere ad un trucco chiamato FISH (fluorescent in situ hybridization), ovvero rendere fluorescente una sonda ad RNA verso un introne di un OR. In questa tecnica non è possibile valutare una ricombinazione genica in maniera diretta, tuttavia è possibile localizzare dove inizia la trascrizione di un determinato gene all’interno del nucleo e valutare se, in seguito ad una ricombinazione, cambia posizione. I risultati, alquanto discutibili, dimostrano che il sito di inizio della trascrizione avviene sempre nello stesso punto del nucleo e del genoma, quindi niente ricombinazione, ma c’è una novità inaspettata; la trascrizione di un OR proviene solamente da un singolo allele.
Sbrogliare la matassa di informazioni non è mai facile
Spesso nella ricerca è importante definire delle ipotesi e porsi le domande giuste, ovvero cercare di identificare la cosa più importante di un meccanismo e trarne quante più informazioni possibili per verifica e deduzione. Nel nostro caso la codifica di un singolo allele, cioè solo 1 delle due copie genetiche di un OR, è ancora in linea con la teoria della ricombinazione genetica, poiché se è vero che la scelta è casuale, questa non può avvenire in entrambi gli alleli fratelli allo stesso modo. Inoltre se l’inizio della trascrizione avviene sempre nello stesso punto, questo non esclude che tutto il resto del DNA (es il promotore) possa essere stato ricombinato.
L’ipotesi che ne scaturisce è questa: La cellula sceglie un OR da esprimere in modo casuale, in mancanza di un feed-back funzionale cambia scelta, in seguito, alla maturazione cellulare la scelta diventa definitiva mediante ricombinazione di un promotore o di segnali a monte dell’OR scelto. Questa ipotesi potrebbe spiegare come mai l’espressione forzata di un recettore esogeno possa bloccare l’espressione dei recettori endogeni; probabilmente la proteina inserita provoca un feed-back che innesca una ricombinazione abberrante del DNA nei OR endogeni. La teoria per ora tiene ma con le parole non si dimostra mai niente, è fondamentale convalidare la teoria e questa volta non è per nulla facile evidenziare tante piccole ricombinazioni in singole cellule di 20 micron di diametro circa.
Come dimostrare una ricombinazione che si possa trovare in un qualsiasi punto del genoma? In questo caso il test di validazione è non semplicissimo. L’idea è che la ricombinazione del DNA in una ORC provocherebbe il blocco dell’espressione di un determinato OR in tutte le condizioni, come avviene per un linfocita. Se da questo DNA ricombinato si clonasse il topo stesso da cui deriva… l’animale che risulterebbe dovrebbe esprimere solo un OR, poiché il suo DNA è già ricombinato in maniera irreversibile. I risultati sono stati scioccanti, il topo che ne risulta è perfettamente sano e ha tutto l’apparato olfattivo intatto e funzionante come in un qualsiasi wild-type. Nonostante l’analisi di circa 100 kb a monte ed a valle del gene incriminato non c’è stata nessuna modifica genetica o epigenetica.
Basta un soffio ed il castello crolla
Certamente la ricombinazione è da scartare ma fino ad ora niente ha smentito la casualità della scelta del OR. Tuttavia un gruppo di ricerca ha recentemente messo in discussione anche questa ipotesi granitica.
L’idea di fondo è la seguente… Se è vero che la cellula sceglie casualmente un gene su circa 1.000, e di questo solo 1 allele, ne consegue che la scelta è di 1 sui 2.000 alleli disponibili. Se riuscissimo ad inattivare solo 1 di questi 2.000 alleli, ad esempio in modo tale che esprima irreversibilmente EGFP (tecnica Cre/loxP), potremmo rendere fluorescenti le cellule che hanno ‘cambiato idea’ per mancanza di feed-back e verificare quale altro gene sceglie dei 1.999 rimanenti.
Il risultato, ancora una volta, è assolutamente strabiliante. Il topo transgenico presenta una coespressione di EGFP solo con il suo allele funzionante corrispondente. In poche parole l’espressione di EGFP, come previsto, non dà feed-back positivo per cui la cellula cambia OR da esprimere; ma la seconda scelta non è per niente casuale, qualcosa guida la scelta sull’allele di ‘backup’ presente sul cromosoma fratello e non sugli altri 1.998 alleli rimanenti. Come potrebbe la cellula riconoscere in modo specifico l’altro allele se la scelta è basata solo sulla casualità? Qualcosa non quadra, ed in questo modo la casualità che ha retto la teoria stocastica fino ad ora è stata, almeno parzialmente, distrutta in un soffio.
L’olfatto che guida l’assone durante il lungo cammino
L’ultima domanda è ‘Cosa succede con il collegamento al cervello quando forziamo una cellula ORC ad esprimere un recettore specifico scelto da noi?’. Gli esperimenti mostrano che il collegamento cervello-recettore è perfetto, quindi ne consegue che il collegamento è basato solo sull’OR espresso.
Ma quando questa scelta cambia all’improvviso?
Per rispondere a questa domanda un gruppo di ricercatori ha tentato di cambiare il recettore scelto dalla cellula poco prima che questa riesca ad ‘agganciarsi’ al cervello (maturare), attraverso un gene OR esogeno ed inducibile.
In questo topo transgenico le ORC scelgono un recettore endogeno in un modo apparentemente casuale, e cominciano la propagazione dell’assone verso il cervello cercando la zona giusta per formare sinapsi. Durante questa fase si può innescare l’espressione del recettore transgenico con il conseguentemente spegnimento del recettore endogeno…
La cellula ancora immatura, come abbiamo visto, si ‘adatta’ al nuovo recettore, ma si aggancerà anche alla zona cerebrale giusta? La risposta è incredibilmente sì. il collegamento e la funzione del recettore è perfetto nonostante il cambio recettoriale durante la formazione dell’assone. Tuttavia, se si cerca di cambiare la scelta dell’OR espresso dopo la maturazione della ORC, si provoca una abberrazione che innesca apoptosi.
Come è possibile che un OR possa guidare la scelta della regione cerebrale giusta a cui ‘agganciarsi’ senza avere altri 1.000 geni deputati al riconoscimento dei diversi OR da parte del cervello?
Qualcuno ha suggerito un’ipotesi alquanto affascinante, secondo cui un OR si trovi alla testa dell’assone durante la fase di elongazione, guidandolo verso il corretto punto di aggancio al cervello come farebbe un cane da tartufo a portarci verso questo prezioso tubero in un intero bosco.
Teoria affascinante e stravagante, tuttavia ancora insoluta ed in cerca di qualcuno che la convalidi o la controbatta con esperimenti, o con ipotesi più semplici.
Conclusione
In questo lungo post abbiamo messo sul piatto tutto quello che è noto sull’olfatto senza uscirne fuori con una teoria solida in grado di spiegare tutti i dati sperimentali. Per chi fa ricerca questo risultato è il pane quotidiano poiché non si seguono mai strade battute, si cerca sempre di crearne nuove, con nuove ipotesi, nuove verifiche e nuove deduzioni che porteranno ad altre ipotesi che si spera siano migliori delle precedenti e più vicine alla verità.
Tutt’ora ci sono gruppi di ricerca che analizzano le seguenze di DNA dei recettori OR cercando qualcosa in comune; analisti in cerca di modifiche epigenetiche in questi clusters genomici; cacciatori di nuovi meccanismi cellulari; esperti di transgeni che tentano nuove e più affascinanti teorie, a volte anche bizzarre… e poi ci sono ricercatori che provano a dare un senso a questo puzzle di dati disarmonici. Il tutto per svelare un mistero che dura da tanti anni oramai.
Non vi è dubbio che ci sono persone che provano un certo fascino nel partecipare a questa continua caccia alla soluzione del problema strato dopo strato, tirando fuori teorie sempre più complesse ed affascinanti, ed a volte come in questo caso si tirano fuori addirittura nuovi meccanismi che si ignoravano fino a poco tempo fa.
Un in bocca al lupo a chi si addentrerà nel risolvere questo mistero anche solo per 5 minuti ed un grazie a Nico e Patrizio per l’incoraggiamento ed i consigli che mi hanno dato per la stesura di questo post.
ilaria sei apposto