L’Orecchio: Assoluto o Relativo? (Parte II)
Preambolo
Nel post precedente abbiamo preso in esame il suono ed abbiamo accennato all’origine della musica e dei nomi delle note. In questa seconda parte prenderemo in esame le conseguenze di tali scelte nella percezione ed interpretazione del suono per il cervello.
L’orecchio assoluto e l’orecchio relativo
Le coordinate di oggi sono determinate dalle capacità di ‘ascolto’, non in senso letterario, piuttosto nella comprensione delle note musicali come fossero parole. Secondo questo schema possiamo dividere le persone in due categorie principali, quelle che posseggono un orecchio assoluto (meglio definibile con orecchio perfetto) e le altre che hanno un orecchio relativo.
Si intende per orecchio assoluto (absolute pitch: AP) la capacità di identificare una nota musicale senza nessuna altra nota di riferimento, mentre quelli che hanno l’orecchio relativo sanno paragonare due note e due strumenti solo se suonati insieme o a breve distanza.
Per intenderci, quasi tutte le persone con un minimo di cultura possono notare un cantante stonato, uno strumento che non è ben accordato o due note che non sono uguali (orecchio relativo), ma è difficile sentire un singolo suono e determinare quale nota sia senza paragonarla ad un’altra nota di riferimento (orecchio assoluto).
La parola orecchio assoluto suscita nell’ambiente musicale un senso di fascino e mistero, sembra essere presente nel 20% dei musicisti, e solo nel 0.0001% della popolazione totale.
Questa capacità insorge nei bambini piccoli in quella misteriosa fascia di età compresa tra i 6 mesi ed 1 anno di vita (vedi post), ma è genetica? Culturale? Dovuta a stimolazioni esterne? O semplicemente casuale?
Genetica o casuale?
Certamente l’AP non è una caratteristica che si può assumere da adulto, sebbene esistano degli esercizi difficilissimi per avvicinarsi molto all’orecchio assoluto (ear training).
Da un primo approccio si potrebbe definire il fenomeno come un fattore casuale o una predisposizione genetica, poiché nella maggioranza dei casi si possiede un orecchio assoluto in maniera indipendente dalla presenza di musicisti e di mestieri correlati ad esso in casa. Molte di queste persone speciali non sanno nemmeno di avere questa particolarità.
Tuttavia è stato dimostrato anche che la crescita di un bambino in un ambiente musicale facilita l’acquisizione di questo dono. Come poter conciliare questi concetti? Da un lato c’è una maggiore frequenza di AP in soggetti che crescono in ambienti ricchi di musica, il che indica un’acquisizione per esperienza. Dall’altro lato bisogna spiegare anche la presenza di AP in soggetti che non hanno alcun rapporto con la musica e posseggono lo stesso dono.
Per capirci potremmo estendere il significato di ‘musica’ dal punto di vista di un bambino di 6 mesi, poiché é stato dimostrato che in questa fase il soggetto non avverte la differenza fra la lingua madre e una straniera, anche se riconosce dei suoni in maniera istintiva (pianto di un altro bambino, suono amorevole, ninna nanna, battito cardiaco materno).
In queste condizioni il suono di una sillaba potrebbe essere molto simile a quella di una nota, ed una parola simile ad una piccola serie di note; quindi si potrebbe intendere come ‘musica’ anche la lingua materna o dei familiari/amici. A supporto di questa teoria è stato dimostrato da tempo che nelle lingue asiatiche c’è una maggiore percentuale di possessori di questo prezioso dono, probabilmente perché i bambini sono esposti ad una lingua con in cui parole hanno un significato diverso a secondo della tonalità con la quale sono pronunciate le “vocali” (lingua tonale). In ‘mandarino’, per esempio, il suono ‘ma’ può significare “mamma” oppure “cavallo” secondo l’altezza del suono. La particolare attenzione a questi dettagli, quando si ascolta o quando si parla, in un bambino potrebbe contribuire ad affinare o far rimanere l’abilità di riconoscere le frequenze sonore, che è poi trasferita allo studio della musica.
Seguendo questo schema, potremmo definire la causa di questo dono con una spiccata attidudine ad ascoltare i suoni con molta attenzione da una parte, ed ovviamente una stimolazione giusta della madre o dell’ambiente che circonda il bambino in quei preziosi momenti.
A supportare questa teoria ci sono anche gli studi fatti sui non vedenti congenici ed i malati di autismo che presentano questa strana caratteristica con un’altissima frequenza, senza per altro averla ‘ereditata’ da parenti ‘musicisti’.
Solo verso il nono mese, mediamente, incomincia ad essere chiara l’associazione tra una parola ed i suoi effetti, ovvero, anche se il bimbo non riesce ancora ad esprimersi a parole è in grado di capire seppur grossolanamente cosa gli viene detto.
Correlazione genetica?
Bisogna dire anche che l’associazione delle popolazioni con l’AP é il pomo della discordia, poiché considerando il punto di vista di un genetista, una popolazione asiatica ha un corredo genetico che differisce da quello europeo/americano. Alcuni geni o alleli eventualmente presenti nelle popolazioni asiatiche potrebbero favorire l’acquisizione dell’AP.
Indagando più a fondo, infatti, i coreani e i giapponesi hanno una frequenza di AP molto alta senza avere una lingua tonale. Anche gli asiatico-americani che parlano esclusivamente l’inglese e che non sono stati esposti alla lingua asiatica durante l’infanzia hanno una accertata alta ricorrenza di AP.
Una differente distribuzione di AP tra le popolazioni può essere spiegata meglio con delle differenze genetiche.
I primi ricercatori che tentarono di dimostrare questa teoria furono Profita e Bidder che riportarono nel 1988 un’elevata ricorrenza di AP in alcuni alberi genealogici e conclusero che l’AP viene ereditato come un tratto autosomico dominante con penetranza incompleta. Per approfondire l’argomento Baharloo e colleghi, nel 1998 riportarono una consistente aggregazione familiare dell’AP e indicarono un possibile ruolo dei meccanismi genetici nello sviluppo dell’AP.
Da un altro studio è emerso anche che un’istruzione musicale precoce dà più possibilità di avere un AP nell’età adulta se si è parenti di primo grado di un soggetto con AP. Questi dati confermano la possibilità di una componente genetica dell’AP.
Tuttavia questa ipotesi è indebolita da una serie di dubbi. Questi studi sono stati fatti esclusivamente su musicisti che ovviamente hanno dato un ambiente musicale ai propri parenti di primo grado, il che favorirebbe l’acquisizione dell’AP attraverso un fattore ambientale e non genetico.
Musica come linguaggio?
Ancora oggi non è chiaro quanto partecipino l’elemento genetico e quello ambientale alla formazione dell’AP, tuttavia è probabile che la capacità di identificare le note musicali derivi da un processo neurologico che corre parallelo a quello di acquisizione delle capacità linguistiche. In sostanza l’orecchio assoluto potrebbe essere il risultato di un rapporto biunivoco fra linguaggio e suono, dove la capacità di distinzione tonale viene mantenuta e inserita nel sistema tassonomico del linguagio musicale, parallelo a quello verbale.
Per intenderci, si immagini Beethoven che riusciva a scrivere la musica senza suonarla come un romanziere potrebbe essere in grado di scrivere un racconto senza sentirlo mai leggere alta voce, ed un musicista che scrive su uno spartito le ‘parole’ sentite da un pianoforte. La corrispondenza con il linguaggio sarebbe perfetta come associare alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’, o ‘u’ con la corrispettiva lettera rappresentativa.
Conclusioni
Bisogna dire anche che avere un orecchio assoluto in realtà non facilita certamente il poter suonare meglio di altri, piuttosto spinge chi ha questo dono ad apprezzare molto più a fondo la musica e le relative note sotto tanti aspetti che ai più sfuggono. Con l’orecchio assoluto magari sarà più facile accordare uno strumento senza punti di riferimento, ma potrebbe essere anche più difficile suonare con l’accordatura ad una tonalità diversa (fare una trasposizione), come suonare ad esempio il clarinetto, il sassofono, il corno, poiché sono accordati in tonalità diversa da quella di Do. In altre parole, sebbene l’orecchio assoluto sia comunque un vantaggio, per un musicista avanzato è solo uno strumento in più che può utilizzare. L’ideale sarebbe avere entrambe le caratteristiche per poter dare il meglio.
Nel prossimo post cercheremo di entrare ancora più in dettaglio sull’origine dell’orecchio assoluto.
Continua: L’Orecchio: l’AP come nuova risorsa (Parte III)
Alla prossima
sono un autodidatta suono ad orecchio posso suonare infinite melodie e infiniti trasporti melodici penso che orecchiomusicale vuol dire innanzitutto saper cantare le melodie udite e saperle trasportare con la voce perche ogni melodia ogni frase e sempre uguale nel senso che cambia il tono ma il motivo e cioe gli intervalli che la compongono sono sempre gli stessi l orecchio musicale assoluto invece secondo me e un orecchio educato acquisito nellinfanzia con la lettura delle note e l accordatura dello strumento al diapason
anche lorecchio relativo e un dono di natura perche sentire la melodia gli intervalli e veramente un dono di natura se vi dicono che avete l orecchio relativo non piangete io ho lorecchio relativo e so improvvisare infinite melodie e infiniti trasporti melodici perche ogni melodia e uguale in tutti i toni attraverso la trasposizione tonale si puo dimostrare di essere intonati di sentire il trasporto di intervalli frasi motivi e quindi sono sempre piu convinto che l orecchio relativo si potrebbe invece definire orecchio intervallare assoluto solo un malato di mente potrbbe dimostrarmi il contrario