A volte ricevo comunicati stampa e inviti che sembrano pesci d’aprile.
E invece sono veri, come questo.
IL CNR, insieme al Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ha organizzato il convengo “Futuro latino: la lingua latina per la costruzione e l’identità dell’Europa con lo scopo di:
“rimarcare la rilevanza della lingua latina nella cultura contemporanea globalizzata, il suo ruolo nella formazione dell’Europa comunitaria, la sua attualità e il suo significato per lo sviluppo scientifico e culturale”.
Fra i temi di cui i parlerà , quello delle “politiche da sviluppare al fine di favorirne lo studio e la diffusione” e “sull’interesse attuale della Cina verso questa lingua”.
Giovani che leggete: lasciate perdere l’inglese!
Imparate il latino, tanto fra un pò anche nell’impero del dragone vi accoglieranno con un “Ave!”.
Altro che innovazione, brevetti e tutte quelle inutili perdite di tempo. E’ il latino che attirerà i cervelli in fuga!
Già immagino schiere di giovani laureati cinesi, coreani, indiani, fare la fila per entrare in Italia, attirati dalla lingua di Cicerone.
Sono fra coloro che pensano che il problema numero uno della ricerca italiana non sia la carenza di fondi, ma il modo con cui vengono spesi. Queste notizie non fanno che confermarlo.
Come chiosa ci starebbero bene alcuni noti versi di Catullo, ma lasciamo perdere.
Politiche e management della ricerca
Inside Research
23 maggio 2007 - 13:37
Consilium Nationalis Ricercorum
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Ovviamente non sono minimamente d’accordo coi contenuti del blog.
Il latino e il greco, lingue che dai soliti somari vengono considerate morte, hanno una precipua funzione nell’ambito dell’apprendimento scientifico.
Tutta l’etimologia si basa sulla loro conoscenza, l’eponimica classica consente inoltre l’evitamento dei neologismi linguistici, che con la scienza, hanno molto poco a che spartire.
Lasciamo che schiere di giovani cinesi e di altre nazionalità facciano la fila per entrare in Italia…e apprendere il latino.
L’apprendimento della lingua si autofinanzierà senza stornare fondi destinati ad altri fini.
Sono perfettamente d’accordo che il problema della ricerca in Italia non é la carenza di fondi ma il come questi vengono spesi. Lavoro da 4 anni in un istituto di ricerca dove é stato comprato un FPL che non viene usato da nessuno, dove gli strumenti vengono messi sotto chiave perché non non volgion farteli usare e non ti volgiono insegnare ad usarli. Io stessa ho dovuto chiedere al CNR, e fortunatamente ottenuto, un finanziamento per andare in una città lontana dalla mia per imparare ad usare un microscopio identico a quello acquistato dal mio isituto; la persona che nel mio Isituto, aveva in gestione lo strumento non voleva perdere tempo nell’insegnarmi ad usarlo.