Il ruolo delle donne nelle biotecnologie
Nonostante siano moltissime le donne coinvolte nel settore, non hanno potere decisionale
Per la prima volta si è tenuto un incontro dal titolo "Wonbit: Donne e biotecnologie, approcci femministi e scientifici a confronto", presso la sede del Cnr a Roma, organizzato dall'Associazione Donne e scienza insieme alla Fondazione Giacomo Brodolini, grazie a un finanziamento della Commissione europea. L'obbiettivo è quello di raccogliere le proposte e le idee delle donne. Le donne sono infatti il cuore della rivoluzione biotecnologica ma non hanno nessuna voce in capitolo. In Italia, i corsi di laurea in biotecnologie sono frequentati in prevalenza da donne: loro sono il 70% delle iscrizioni e dei diplomi di laurea o dei dottorati. Tra i ricercatori, il 63% è rappresentato dal sesso femminile. La loro presenza però inizia a scarseggiare man mano che si sale ai vertici: a livello di professore associato, le donne sono quasi il 60% ma la percentuale scende drasticamente al 25% per il ruolo di professore ordinario. Per quanto riguarda invece direttori di Istituti e dipartimenti, le donne ricoprono poco più del 10%. Questo "problema" riguarda, non solo l'Università, ma anche il mondo dell'industria, un settore strategico per le biotecnologie: fra le imprese iscritte ad Assobiotec, quelle presiedute da donne possono essere contate sulle dita di una mano.
E questo nonostante molti spin-off nascano da idee di donne, come ad esempio quello a Milano di Elena Cattaneo, direttrice del Centre for Stem Cell Research dell'Università di Milano (è una delle relatrici di Wonbit). Nonostante le donne siano così presenti nel mondo delle biotecnologie, i dati dell'ultimo Eurobarometro sulle biotecnologie (2006), sono anche molto diffidenti nei confronti delle tecniche di manipolazione genetica. Flavia Zucco, dirigente di ricerca all'Istituto di neurologia e medicina molecolare del Cnr e presidente dell'Associazione Donne e scienza, spiega che questo atteggiamento è dettato anche dalla sensazione che, nonostante le applicazioni biotech riguardino le donne molto da vicino (donazione di ovuli e del sangue del cordone ombelicale, ad esempio), non sono loro a poter decidere in merito. In alcuni Paesi europei, per esempio, le donne possono decidere di mettere a disposizione della ricerca i propri ovuli in cambio di un rimborso spese o di un trattamento di procreazione assistita e questa decisione ha sollevato un grosso dibattito circa l'entità della ricompensa ma non è mai stato preso in considerazione il benessere fisico e psicologico della donna. Questo è quanto denuncia Alexandra Plows, ricercatrice presso il Centre for the Economic and Social Aspects of Genomics (CESAGen) dell'Università di Cardiff. In Italia, si dibatte sull'utilizzo degli embrioni e dei suoi diritti, sulle tecniche di fecondazione ma raramente si parla del corpo delle donne che è oggetto di pratiche invasive, come il prelievo degli ovociti, e la legge 40 sulla procreazione assistita ha peggiorato ulteriormente le cose. Questo emerge da una ricerca di Manuela Perrotta e Silvia Gherardi della Research Unit on Communication, Organizational Learning and Aesthetic dell'Università di Trento, presentata durante il convegno. Alla fine del convegno verrà redatto un documento che raccoglierà il contributo delle donne protagoniste della rivoluzione biotecnologica presente e di quella che verrà, e sarà presentato in sede europea alla Divisione Scienza e società e alla direzione generale di ricerca. Zucco conclude dicendo che è fondamentale che ai progressi scientifici e tecnologici corrisponda una riflessione filosofica e sociologica che coinvolga tutte le componenti della società.
Redazione (22/06/2007)
Pubblicato in Biotecnologie
Tag:
donna,
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