Il meccanismo degli antidepressivi
I farmaci alterano il rilascio di GABA da un circuito inibitorio specifico dell'ippocampo responsabile di numerose funzioni cognitive
Da più di vent'anni sono utilizzati nella cura della depressione, talvolta apprezzati e soprannominati "le pillole della felicità", talvolta contestati: sono i farmaci antidepressivi, che nei paesi occidentali, per esempio negli Stati Uniti, occupano le prime posizioni tra i farmaci in assoluto più prescritti. Nonostante ciò, il loro preciso meccanismo d'azione non è ancora del tutto noto ed è oggetto di approfonditi dibattiti. Conoscere come un farmaco allevia i sintomi della depressione è importante per capire le origini biologiche del "male oscuro". Si sa che i farmaci antidepressivi supportano l'ipotesi serotonina (livelli bassi di serotonina causano depressione), poiché esercitano i loro effetti clinici benefici aumentando i livelli di amine nel cervello. Tuttavia, nonostante il ruolo conosciuto delle amine, e particolarmente della serotonina, nell'eziologia della depressione l'ipotesi serotonina non spiega totalmente gli effetti di questi farmaci nell'alleviare la depressione, e, recentemente, "l'ipotesi serotonina" come meccanismo scatenante della depressione ha un po' perso forza.
Alberto Bacci, scienziato rientrato nel 2005 in Italia all'EBRI (European Brain Research Institute) grazie ai finanziamenti della Fondazione Armenise-Harvard e attualmente presso l'Institut du Cerveau et de la Moelle épinière, Hôpital Pitié-Salpêtrière, Parigi, ha condotto una ricerca che ha messo in luce come due farmaci antidepressivi ampiamente usati in clinica e appartenenti a due famiglie farmacologiche diverse (l'imipramina e la fluoexetina, rispettivamente commercializzati come Trofanil e Prozac) alterino in ratti e topi, il rilascio del GABA, il neurotrasmettitore inibitorio più comune nel cervello.
Questo effetto, studiato nell'ippocampo, un'area della corteccia cerebrale pesantemente affetta da depressione, avviene direttamente sui terminali presinaptici dei neuroni inibitori GABAergici senza coinvolgere nessuno dei trasmettitori (le monoamine), per i quali questi farmaci sono noti avere effetti antidepressivi. In particolare, questa ricerca, appena pubblicata su The Journal of Neuroscience, Alberto Bacci e i suoi collaboratori Pablo Mendez, Antonio Pazienti, Gabor Szabo hanno dimostrato che entrambi questi farmaci alterano il rilascio di GABA da un circuito inibitorio specifico dell'ippocampo, quello responsabile della sincronizzazione di gruppi di neuroni durante attività globali (di rete), che sono alla base di numerose funzioni cognitive.
E' importante ricordare che questa ricerca non ha dimostrato che questo effetto sull'inibizione corticale sia di fatto antidepressivo (studi in questa direzione sono in corso). Tuttavia, questi risultati evidenziano come il sistema dell'inibizione corticale possa essere un importante fattore coinvolto nell'eziologia dei disturbi depressivi, come suggerito dal fatto che farmaci di 'famiglie' diverse hanno un effetto comune. Recentemente, alterazioni dello sviluppo e del funzionamento di specifici circuiti GABAergici (cioè inibitori) corticali sono stati proposti come responsabili dell'insorgenza di diverse malattie neuropsichiatriche, come la schizofrenia e l'autismo. Sarà quindi importante capire se anche la depressione possa essere inclusa tra le malattie psichiatriche affette da alterazioni di specifici circuiti inibitori della corteccia cerebrale.
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