La sclerosi multipla aumenta la produzione di endocannabinoidi
Aperta la via a nuovi farmaci sostitutivi dei derivati della cannabis, si punta agli enzimi interni attivati dall’organismo o da sostanze come marijuana e hashish
Il nostro organismo produce naturalmente sostanze che svolgono azioni simili a quelle dei principi attivi contenuti nella marijuana e nell’hashish, derivati della canapa indiana (cannabis): sono i cosiddetti cannabinoidi endogeni o endocannabinoidi. Tali principi attivi quando sono assunti esternamente con l’uso di droghe hanno, notoriamente, effetti stupefacenti; nel caso di persone affette da sclerosi multipla possono però migliorare il decorso della malattia. Sulla base di tale osservazione, come potenziali agenti terapeutici si sperimenta da alcuni anni l’utilizzo controllato di composti in grado di stimolare i recettori per gli endocannabinoidi. Ora una ricerca congiunta della Fondazione Santa Lucia e dell’Università di Roma “Tor Vergata” si è concentrata per la prima volta sugli effetti della sclerosi multipla sul sistema che produce i cannabinoidi endogeni, modificandone quantità ed attività all’interno dell’organismo colpito. Uno studio innovativo che ha capovolto il punto di osservazione sulla relazione tra questa patologia e i benefici indotti da sostanze cannabinoidi. Il lavoro ha avuto la supervisione del professor Giorgio Bernardi, direttore della Clinica Neurologica dell’Università Tor Vergata e responsabile delle Attività di Neuroscienze Sperimentali della Fondazione Santa Lucia nel Centro Europeo di Ricerca sul Cervello.
I risultati, già disponibili on line, saranno pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Brain”.
Lo studio condotto negli istituti romani ha dimostrato che l’infiammazione del sistema nervoso centrale, causa degli attacchi di sclerosi multipla, aumenta la produzione di endocannabinoidi all’interno del cervello e nelle cellule del sistema immunitario; inoltre ha permesso di identificare negli enzimi che producono e che eliminano tali sostanze dei nuovi bersagli per farmaci, già in fase di sviluppo, privi degli effetti collaterali degli agenti cannabinoidi al momento disponibili.
Attualmente il composto più utilizzato a fini terapeutici nei pazienti affetti da sclerosi multipla è il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo), il maggior principio della marijuana, che oltre ad essere uno stupefacente possiede numerose proprietà (antidolorifica, antinausea, anticinetosica, stimolante per l'appetito e in grado di abbassare la pressione endoculare). Purtroppo il ricorso al THC, o ad altri agenti che eccitano direttamente i recettori per i cannabinoidi, situati diffusamente nel cervello, è fortemente limitato dalle ripercussioni negative sulle funzioni cognitive e mentali dei pazienti.
La ricerca ha visto la stretta collaborazione tra il laboratorio di Neurofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia e il Centro Studi sulla Sclerosi Multipla dell’Università Tor Vergata, entrambi diretti dal dottor Diego Centonze. Un importante contributo è venuto da un altro laboratorio della Fondazione: quello di Neurochimica dei Lipidi, diretto dal professor Mauro Maccarrone. “Il nostro studio rappresenta un primo passo verso lo sviluppo di farmaci che non agiscano indiscriminatamente su tutti i recettori dei cannabinoidi nel cervello e nel sistema immunitario, ma – sottolinea Centonze – che funzionino piuttosto da ‘bombe intelligenti’ sulle alterazioni del sistema endocannabinoide specifiche della sclerosi multipla”.
Redazione (25/07/2007)
Pubblicato in Biochimica e Biologia Cellulare
Tag:
sclerosi multipla,
endocannabinoidi,
cannabis,
marijuana,
hashish
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