Purtroppo non sta scherzando, Mr. Feynman
Vi avevo già anticipato come in un tema delle scuole medie avessi cercato di spezzare una lancia in favore dell’inventore della bomba atomica, insinuando il dubbio che forse questa persona non avesse previsto le applicazioni della sua scoperta. Che forse la Scienza si eleva al di sopra dell’idea di “bene e male”, che non ha altro scopo se non la conoscenza.
Richard Feynman era un laureando di Princeton quando Robert Wilson lo reclutò per il Progetto Manhattan, il progetto militare che nel laboratorio di Los Alamos, appositamente costruito per lo scopo, portò alla creazione della bomba atomica. Nel libro “Sta scherzando, Mr. Feynman” (1985), lo scienziato ci offre il punto di vista dei creatori della bomba; un punto di vista impopolare, per me agghiacciante, ma non incomprensibile, che trascende i concetti di “giusto” e “sbagliato” per rimpiazzarli con un “obiettivo”.
Forse, dopotutto, la Scienza è davvero un’entità al di sopra del bene e del male? Uno scienziato può esimersi dall’avere responsabilità sociale, delegandola a (e lavorando nel rispetto di quella) degli organi etici e governativi? Diteci la vostra! Astenersi dai luoghi comuni.
Un giorno stavo lavorando nel mio ufficio a Princeton, quando Bob Wilson entrò e mi disse che era stato finanziato per un progetto segreto [...] Così mi parlò del problema di separare diversi isotopi dell’uranio con lo scopo ultimo di creare una bomba. [...] Gli dissi che non volevo farlo. [...]
Così tornai a lavorare alla mia tesi – per circa tre minuti. Poi iniziai a camminare su e giù e a pensare a questa cosa. I tedeschi avevano Hitler, e la possibilità che mettessero a punto una bomba atomica era ovvia, e la possibilità che la mettessero a punto prima di noi era terrificante. Così decisi di presentarmi alla riunione.
[...]
Dopo che la bomba fu esplosa,* Los Alamos fu travolta da una grande eccitazione. Tutti festeggiavamo, correvamo in giro. Io mi sedetti su una jeep a suonare i bongos, e così via.
Solo un uomo, ricordo, Bob Wilson, se ne stava seduto con aria affranta.
Gli chiesi “Perché sei cosi avvilito?”.
Lui rispose “È una cosa terribile quella che abbiamo fatto”.
Gli dissi “Ma sei stato tu ad iniziarla. Ci hai coinvolto tu”.
Vedete, quello che mi era successo – quello che era successo a tutti noi – è che avevamo cominciato per una buona ragione, ma poi si inizia a lavorare duramente per realizzare qualcosa e diventa un piacere, eccitazione. E si smette di pensare, no? Si smette e basta. Bob Wilson era l’unico che stesse ancora pensando, in quel momento.
Ritornai alla civiltà poco dopo e andai alla Cornell ad insegnare, e la mia prima impressione fu davvero molto strana. Non riesco più a richiamarla, ma fu molto forte allora. Stavo seduto in un ristorante di New York, ad esempio, guardavo fuori e iniziavo a pensare a quanto fosse stato il raggio distruttivo della bomba di Hiroshima e così via… Quanto distava da lì la 34esima strada?… Tutti quei palazzi, completamente distrutti… E poi me ne andavo in giro e vedevo degli operai costruire un ponte, o una nuova strada, e pensavo “Sono pazzi, non capiscono. Perché si mettono a costruire nuove cose? È tutto inutile”.
Ma fortunatamente è stato inutile per quasi quarant’anni, ormai, giusto? Quindi mi sbagliavo sull’inutilità del costruire ponti, e sono contento che quelle persone abbiano avuto il buon senso di continuare.
N.B.: mi sono presa la libertà di tradurre personalmente dall’opera originale in inglese “Surely you’re joking, Mr. Feynman”, non avendo trovato una versione italiana online; assicuro la mia buona fede nell’elaborare la traduzione e mi scuso in anticipo con chi, avendo letto il libro in italiano, trovasse la mia trascrizione inadeguata.
*Nota aggiunta a posteriori: Feynman si riferisce all’esito del Trinity test, avvenuto nel deserto, non alla distruzione di Hiroshima o Nagasaki.
Tag:bomba atomica, Hiroshima, Los Alamos, Nagasaki, progetto Manhattan, Richard Feynman, Robert Wilson, seconda guerra mondiale, Trinity test, uranio
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prima di criticare il cinismo di Feynman, vi invito a mettervi nei panni di una persona che si è trovata a scegliere tra il rimorso di aver contribuito alla costruzione di un’arma micidiale — con lo scopo di rimuovere la spada di Damocle che pendeva sulla testa sua e di mezzo mondo — ed il rimorso di non aver mosso un dito mentre la follia imperava appena fuori dalla sua porta.
vi invito altresì ad evitare commenti sulla ragionevolezza della guerra come metodo di risoluzione dei conflitti ed altre questioni di polemologia, e a concentrarvi invece sulla domanda pregnante: fino a che punto uno scienziato può, è o deve essere responsabile delle applicazioni delle sue scoperte? riuscite a concepire una dedizione al lavoro tale da oscurare le implicazioni di ciò che si è creato?
Ogni uomo è responsabile di cosa fa e cosa non fa, nel contesto in cui lo fa. Sarebbe come dire che gli ufficiali delle SS che eseguivano materialmente lo sterminio non fossero assassini in prima persona, solo perchè “eseguivano ordini” governativi. Un discorso del genere lo si potrebbe accettare, forse, per un soldato semplice, privo di potere decisionale – e pure qui, ho i miei dubbi – ma non per uno in comando. E così vale anche per lo scienziato che materialmente sta costruendo – sapendo di farlo – un’arma tanto devastante.
Ma quella era una guerra – anzi, la guerra più terribile che l’uomo avesse mai combattuto – e non si può liquidare con nettezza la posizione dello scienziato, il quale è innanzitutto un uomo con paure, ideali e coscienza, ed era, sopratutto, sul lato dei giusti. Nè la si può scindere dalla posizione di chi ha ordinato il bombardamento, anch’egli uomo con paure, ideali e coscienza, ma soprattutto, con la responsabilità politica e storica di agire.
A riguardo, l’osservazione di Asimov in uno dei suoi saggi, fu molto interessante. Si chiedeva perchè la gente condannasse gli scienziati che l’avevano costruita e non i politici che avevano ordinato di sganciarla – anzi – di sganciarne ben due e su due città, di certo strategiche, ma non obiettivi militari puri.
Non ci interessano, per rispondere alla domanda del giorno, le speculazioni storiografiche, ma la storia ci ha raccontato anche di fisici tedeschi che hanno sabotato il programma nucleare nazista. E io vedo, in questa loro presa di coscienza, un fatto speculare a quello di chi, come Feynman (o più di Feynman) si è sentito in dovere di contribuire alla costruzione di un’arma tanto terribile. Arma che, vorrei però ricordare, proprio per la sua incredbile capacità distruttiva ha garantito la pace fra le due superpotenze (in ossequio alla famosa teoria della “mutua distruzione assicurata”).
In conclusione, quindi, io non penso che lo scienziato possa lavarsi le mani di ciò che fa. Negli USA durante gli anni ’60 molti americani sono finiti per essere cavie inconsapevoli di esperimenti per capire gli effetti delle radiazioni sul corpo umano. Se ci fossimo stati noi al posto di quelle povere persone, in ospedale per curarsi, e invece, usate per ricerche illegali? Cosa penseremmo dei medici compiacenti? Dei ricercatori che ci hanno usato per i loro scopi?
Diversamente da ciò che dice Sabrina nel primo post, è proprio il contesto storico che deve essere analizzato per giudicare il comportamento dell’uomo-scienziato (come pure del politico).
Se produrre un’arma tanto potente (la potenza non la si conosceva, ma la si immaginava) può accorciare la guerra e salvare quindi milioni di vite, sacrificandone certo, parecchie migliaia, beh, lo scienziato, il politico, il militare, sul piano storico e umano deve essere assolto.
Truman, però, che ordinò il bombardamento in quei termini, può essere, forse, assolto sul piano storico, poichè diede ai futuri nemici sovietici, un segnale inequivocabile della potenza dell’arsenale a disposizione del mondo libero per difendersi dall’aggressione di altri dittatori. Ma sul piano umano, io non credo lo si possa giustificare. E’, vero non abbiamo la prova il Giappone si sarebbe arreso ugualmente senza vedere due sue città interamente distrutte, ma piuttosto vedendo un’installazione militare, o una foresta, o una collina polverizzate dalla nuova arma. Ma certo, nemmeno l’ha fatta questa prova Truman.
Al tempo stesso non mi sento di condannare le affermazioni di Feynman quando racconta dell’euforia per il compimento delle sue ricerche o per il fatto che a un certo punto, studiare il fenomeno divenga un’attività astratta dall’obiettivo terribile che alla fine ci si poneva. Questa astrazione e la soddisfazione mi pare sia nella natura di qualunque attività. La sua sensibilità umana, invece, mi pare ripresa tutta quando parla dei ponti inutilmente in costruzione.
Per quel che mi riguarda, non è assolutamente problema dello scienziato. La bomba è stata in ogni caso un progresso dal punto di vista strettamente scientifico e questo è l’unico punto di cui lo scienziato si deve preoccupare. L’idea di questioni morali che bloccano il progresso e paralizzano gli scienziati mi spaventa più di un olocausto nucleare.
Non sto dicendo che non debba esserci un’etica o limiti nel modo di lavorare degli scienziati, ma che ci si preoccupare delle applicazioni o dell’eventuale uso è assurdo. Non è stato Feynman ha dare l’ordine, ne a dichiarare guerra, ne altro.
questi, però, hanno lavorato “su ordinazione”, per così dire, sapendo, quindi, che quell’oggetto sarebbe stato utilizzato SOLO per quello scopo…
lo scienziato, quindi, deve essere al soldo e al comando dei potenti, senza risponderne? allora ci deve andare bene anche la giustificazione tipo “ma io ho solo eseguito gli ordini…”
Lara, lui non ha eseguito solo gli ordini.
la sua prima reazione fu di rifiutare, ma poi scelse di farlo, per una causa che a lui sembrava giusta. quindi ne risponde eccome, non ha scaricato la responsabilita’ sul governo che dava gli ordini.
quello che mi ha ghiacciato, sul momento, e’ stato il modo di festeggiare il collaudo della bomba, senza collegarlo al fatto che quel dispositivo fosse un ordigno bellico.
loro festeggiavano la riuscita del progetto, l’avevano svincolato completamente dall’applicazione, ma non significa che prendessero alla leggera il loro compito: le ultime righe del brano che ho riportato raccontano la depressione in cui si trovo’ Feynman dopo Los Alamos, e Robert Wilson stesso tento’ di mandare a monte il progetto Manhattan quando seppe che la Germania si era arresa.
e quindi la tua risposta alla tua stessa domanda sul “problema morale” della scienza qual è?
a me viene in mente un’amica che dice che le intenzioni si vedono proprio dai risultati: dirsi, coscientemente, che “l’ho scelto per una buona causa” (ma poi erano così sicuri di potersi fidare ed affidare alle decisioni di chi avrebbe manovrato l’ordigno? perchè io rispondo totalmente di tutta la filiera solo se la bomba, poi, la sgancio io e lo faccio proprio sul bunker del Fhurer -, ma in quel caso, non mi servirebbe certo di quella potenza lì, no? ), oppure la strada per l’inferno è lastricata di “buone intenzioni” e, sotto sotto, quello che ha preso il sopravvento, fin da subito, è proprio l’eccitazione da delirio di onnipotenza troppe volte tipica dei grandi scienziati?
(ma pure del comune medico che continua a rianimare una persona anche dopo 40 minuti, ottenendo solo un vegetale e poi rompendoci i coglioni con la questione morale della libertà del fine vita? fossi davvero libera, gli ficcherei quel defibrillatore caricato a 600 dentro i pantaloni!)
dall’introduzione:
Nel libro “Sta scherzando, Mr. Feynman” (1985), lo scienziato ci offre il punto di vista dei creatori della bomba; un punto di vista impopolare, per me agghiacciante, ma non incomprensibile, che trascende i concetti di “giusto” e “sbagliato” per rimpiazzarli con un “obiettivo”.
dallo scienziato stesso:
quello che mi era successo – quello che era successo a tutti noi – è che avevamo cominciato per una buona ragione, ma poi si inizia a lavorare duramente per realizzare qualcosa e diventa un piacere, eccitazione. E si smette di pensare, no? Si smette e basta.
ecco, lasciamo perdere la critica all’onestà, ma lasciamo stare pure la mistificazione della buona ragione e dell’obiettivo al di sopra del bene e del male: il problema è che si sconfina fin troppo nel solo piacere di scoprire, SENZA PENSARE alle conseguenze… e il solo piacere di scoprire, a sua volta, può sconfinare nel delirio di onnipotenza.
Non essendo uno scienziato, potrei dire che non è un problema mio, lascio dire agli scienziati se sia normale, positivo, giusto, sicuro (scegliete voi il termine) che durante gli studi per una scoperta, un progetto, ecc. sia accettabile che si “smetta di pensare per piacere ed eccitazione”…
Premetto che non ho letto il libro, ma ho visitato di Hiroshima e pare che lo scoppio della bomba non fosse così legato a salvare il mondo da Hitler, bensì che fosse un esperimento su cavie umane ben programmato già due anni prima: una specie di collaudo finale.
No, smettere di pensare non è mai giustificato e le responsabilità di chi sapeva esistono.
Forse la scienza e il progresso VORREBBERO essere al di là del bene e del male, ma gli scienziati (e le loro esigenze) non lo sono e questo perchè purtroppo il progresso ha un prezzo ed è quello di sottostare al potere economico.
Ecco allora che, da che mondo è mondo, la guerra fa soldi (e tanti) e i soldi fanno il progresso, anche quello scientifico.
La bomba atomica è solo il caso più eclatante.
Sul piano personale dello scienziato penso che il piacere di scoprire non debba mai trascendere dallo scopo per cui lo scienziato lavora.
Lo scienziato però può decidere se è più importante rifiutarsi di lavorare perchè l’utilizzo finale è bellico o accettare, magari perchè il PROGRESSO che porterà la sua scoperta va OLTRE l’utilizzo previsto, insomma vale di più, in ogni caso.
Ecco che Feynman ha fatto la sua scelta, giusta o sbagliata che sia; inoltre lui era convinto di agire in difesa del suo Paese.
Credo che ogni scienziato debba poter fare la sua scelta in libertà e in privato.
Il progresso non può, e non deve essolutamente, essere bloccato da questioni morali DALL’ALTO.
Tuttal più regolato e valutato da esperti volta per volta.
Anche perchè le applicazioni buone o cattive non possono essere sempre previste.
Un altra cosa a cui tengo:
Il “delirio di onnipotenza” dello scienziato secondo me è un bufala venduta per dipingere l’immagine di un vecchio spettinato in camice bianco che mesce provette fumanti e ride sguaiatamente dopo l’esplosione.
Se c’è qualcuno col delirio di onnipotenza è da cercare più il alto (purtroppo!) :)
quoto quasi in toto la posizione di Camilla.
Thumbs up!
(non che c’entri troppo con la discussione, ma faccio notare che, quando fu sganciata la bomba, i nazisti si erano gia’ arresi)
condivido, ma specifico — autoquotandomi — che “Robert Wilson stesso tento’ di mandare a monte il progetto Manhattan quando seppe che la Germania si era arresa.”
Un giorno stavo lavorando nel mio ufficio a Princeton, quando Bob Wilson entrò e mi disse che era stato finanziato per un progetto segreto [...] Così mi parlò del problema di separare diversi isotopi dell’uranio con lo scopo ultimo di creare una bomba. [...] Gli dissi che non volevo farlo. [...]
Insomma, ha detto no finchè la sua attenzione stava su “con lo SCOPO ULTIMO (fare attenzione, please, vuol dire che sapevano benissimo) di creare una bomba”
Ci ha ripensando nel momento in cui si è concentrato solo sul “problema di separare diversi isotopi dell’uranio”
Questo è anche il motivo per cui loro si sono messi a stappare spumante, (mica davanti alla distruzione di due città, stiamo attenti, ma davanti alla riuscita del progetto! quindi, inutile meravigliarsi dei festeggiamenti…), mentre Wilson cercò di fermare il progetto dopo la resa della Germania (evidentemente, il suo scopo era fermare la Germania, appunto, non separare i diversi isotopi dell’uranio)
A questo punto, in primo luogo nutro seri dubbi sulla capacità di giudizio di uno che pensa davvero di essere animato da buone intenzioni (e che le intenzioni siano DAVVERO fermare la Germania) mettendosi a lavorare ad un progetto del genere… diciamo che nutro seri dubbi su chiunque pensi che per fermare un pazzo alla guida di un paese serva la bomba atomica, in generale
poi, trovo infantile nascondersi dietro alla buone intenzioni: uno scienziato SA che ciò che lo guida è la ricerca fine a sè stessa, troppe volte: sapendolo, farebbe meglio ad ammetterlo con sè stesso e col mondo intero, dopodichè la smetteremo di porci le questioni morali (ma se loro per primi, a cose fatte, tirano fuori le buone intenzioni e il progresso dell’umanità, staremo sempre punto e da capo)
O ci si deve porre un problema relativo alle conseguenze, O “uno scienziato può esimersi dall’avere responsabilità sociale”. La risposta la deve dare la comunità scientifica, ma se scelgono la seconda bando alle ciance sulle “buone intenzioni”…
Ci ha ripensato nel momento in cui si è concentrato solo sul “problema di separare diversi isotopi dell’uranio”
secondo me ci ha ripensato nel momento in cui si e’ figurato new york distrutta da una bomba atomica di fattura tedesca.
“I tedeschi avevano Hitler, e la possibilità che mettessero a punto una bomba atomica era ovvia, e la possibilità che la mettessero a punto prima di noi era terrificante. Così decisi di presentarmi alla riunione.”
se questo sia un motivo valido — per quanto si possa definire la validita’ di un principio altrui — e’ un altro discorso e comunque dovrebbe difenderlo lui, cosa che purtroppo non puo’ piu fare.
solo, io dubito che si sia eccitato a sentir parlare di isotopi dell’uranio e che questa sia stata la ragione del suo coinvolgimento.
non dimentichiamo che in quell’ufficio di princeton stava lavorando all’elettrodinamica quantistica che gli valse il nobel, quindi non e’ che si stesse proprio annoiando.
pero’ in linea generale direi di non stare a fare il processo alle intenzioni di Feynman.
ho riportato il brano perche’ e’ quello che mi ha innescato la riflessione.
Non faccio il processo alle intenzioni di Feynman, ma alle intenzioni in genere.
Si deve essere onesti con sè stessi e poi col prossimo e se si sceglie il sapere per il sapere, la ricerca per la ricerca, non ci si devono poi rifilare le intenzioni e il fine del sacrificio per l’umanità
e questo nell’interesse dello scienziato stesso, così i risparmia pure di rischiare di aver motivi di farsi problemi morali, di ritrovarsi coi sensi di colpa a posteriori e con le depressioni: cosa fatta capo ha e siccome siamo grandicelli, secondo me prima di mettere le mani su qualcosa (qualunque cosa ) un’ideuzza sulle conseguenze ce la possiamo fare e anche sulla nostra capacità di poterle e volerle rischiare e sopportare…
Forse, dopotutto, la Scienza è davvero un’entità al di sopra del bene e del male? Uno scienziato può esimersi dall’avere responsabilità sociale, delegandola a (e lavorando nel rispetto di quella) degli organi etici e governativi?
La domanda è molto complessa, e una risposta dovrebbe esserlo altrettanto. Non ho gli strumenti filosofici e nemmeno quelli cognitivi per farlo, ma posso fare quattro considerazioni, le prime tre legate in generale al problema del rapporto tra conoscenza e etica, la quarta legato al caso specifico di Feynman e del Manhattan Project.
La prima è che no, che essere scienziati, naturalmente, non esime dal principio di responsabilità di Weber. Ogni essere umano dovrebbe considerare con la massima coscienza le conseguenze chiaramente prevedibili di ogni suo gesto, prima di compierlo, e valutare se è in grado e se desidera assumersi le responsabilità da esso derivanti. Ma non mi sembra che fuori dai film di fantascienza e da Ghiaccio Nove questo sia il problema centrale della questione: questo, a causa della seconda e della terza osservazione.
La seconda osservazione è che ogni cittadino, non solo gli scienziati, una volta applicato il principio di responsabilità individuale, deve, se non vuole porsi fuori dal consesso civile, per usare il linguaggio di Sabrina, “delegare alle leggi e all’autorità che riconosce la statuizione delle regole all’interno delle quali operare”. Ci mancherebbe altro che non lo facesse. Sia chi parte soldato, sia chi costruisce mine anti-uomo, sia chi dirige un carcere, sia chi uccide in un conflitto a fuoco un tizio che ha appena rapinato una banca delega alle leggi e all’autorità il compito di valutare le sue azioni. Io non dirigerei mai un carcere, non ucciderei mai una persona che ha rapinato una banca, non vorrei mai partire in guerra e non costruirei mai mine anti-uomo, e questo fa parte dell’applicazione preventiva del mio principio di responsabilità, ma non posso far finta di non vivere in una comunità che ammette queste cose nel suo sistema giuridico e che, a larga maggioranza, probabilmente, ritiene queste cose non solo accettabili, ma, spesso, meritorie.
Tornando alla scienza, nessuno potrebbe seriamente affermare che studiare e conoscere sempre meglio i meccanismi attraverso i quali gli esseri umani si riproducono dovrebbe suscitare in uno scienziato problemi morali, anzi, è lì per questo, e spesso riceve soldi pubblici per questo, e tutti si lamentano perché sono troppo pochi. Come esseri umani imperfetti, dovremmo essere contenti che il funzionamento del nostro corpo sia soggetto a studi così approfonditi.
Se questi scienziati, poi, usano le loro conoscenze per produrre metodi sempre più efficienti e indolori per far abortire degli esseri umani, lo fanno all’interno di un sistema normativo scaturito da un confronto democratico e da un referendum molto sofferto in cui la maggioranza dei cittadini ha deciso che tale pratica è possibile; la pratica dell’aborto, così come tutte le altre pratiche sul corpo e sulla riproduzione rese possibili dalla tecnica, non hanno nulla a che fare con la moralità gli scienziati e con lo sviluppo tecnico, ma hanno tutto a che fare con le decisioni liberamente prese da una libera comunità di cittadini.
Poi, è giusto che un medico possa scegliere se praticare o no l’aborto, ma non si può accusare chi lo pratica e chi lo studia per renderlo meno doloroso di essere uno stregone incosciente, perché agisce nel modo in cui la comunità entro cui pratica ha statuito democraticamente che possa agire.
Terza osservazione: quindi, QUINDI, non nascondiamoci dietro a un dito, e non agitiamo il fantasma di Frankenstein. La responsabilità principale per la creazione della bomba atomica, e, soprattutto, per il suo uso (a scopo puramente intimidatorio) in Giappone non è degli scienziati, ma del sistema decisionale (basato su criteri democratici, tra l’altro) che ha avviato il processo.
Per il resto, io, come chiunque, penso, anzi, sono sicuro che la ricerca scientifica via via porrà alle comunità di cittadini problemi sempre più seri: mi viene in mente la possibilità di intervenire sui geni di un embrione, o la scoperta di fonti di energia ancora più potenzialmente pericolose di quella nucleare. Ma i casi sono due: o interrompiamo la “ricerca pura” grazie ai risultati della quale qualsiasi buon tecnico sarà in grado di dare a mio figlio gli occhi blu, la visione di gioco di Platini e il membro di John Holmes, con permesso parlando — ma interrompere la “ricerca pura” è impossibile, perché l’indagine della natura è una caratteristica ineliminabile dell’animo umano — o facciamo sì che il sistema etico e normativo sia il più possibile pronto a raccogliere le nuove “sfide” poste dalla ricerca scientifica e dall’ampliamento della conoscenza, elaborando statuti del corpo e della riproduzione che da un lato ne tengano conto, dall’altro impediscano che “libito sia licito”, che a ogni voler essere corrisponda un essere, insomma, che le scoperte scientifiche siano applicate “arbitrariamente”, ma vengano usate in un contesto etico e, soprattutto, giuridico, controllato.
Questo, naturalmente, è difficilissimo, perché né il legislatore né il cittadino medio ha la cultura scientifica necessaria, spesso, per valutare la portata delle scoperte e delle loro possibili ricadute sulla vita di una comunità, ma è questo (intendo dire l’adeguatezza delle modalità di formazione del sistema normativo e del consenso) il problema fondamentale con il quale avere a che fare nella questione del rapporto tra etica e scienza, perché nessun sistema al mondo può stare in piedi solo “sperando” che tutti gli scienziati (che tutti i membri di qualsiasi comunità, se è per questo) siano responsabili e morali come un reverendo mormone.
E è questo il problema rispetto al quale e in funzione del quale, possibilmente, si deve ripensare il sistema della formazione, dell’informazione e del processo legislativo: una scienza sempre più complessa e sempre più invasiva non ha bisogno di scienziati più morali, ha bisogno di cittadini più pronti a capire quello che sta succedendo, e di legislatori più preparati a regolarlo in modo utile e civile.
Se, poi, qualche scienziato si muove al di fuori del sistema di regole che si è formato nella comunità in cui lavora, lo si blinda e lo si carcera, che problema c’è. Se poi gli scienziati sbaglieranno, come avvenne nel caso del talidomide, pagheranno se si scoprirà che le valutazioni teratogeniche sono state fatte male o affrettatamente, se no, bisogna dirlo anche a rischio di sembrare cinici, sono rischi da porre in conto, quando si vive in società tecnologicamente avanzate, nelle quali i processi di produzione di ogni cosa, non solo dei farmaci, sono molto al di là della possibilità di comprensione del 99% dei cittadini. Viviamo in media 84 anni invece che 65, come i miei nonni, o 45, come i miei trisnonni: forse ne vale la pena.
La comunità scientifica non può autonormarsi, insomma, come non può autonormarsi e darsi categorie etiche proprie nessuna categoria che operi in un contesto sociale complesso e democratico.
Quarta osservazione, che ha, invece, a che fare con il caso specifico: una volta scoperto il meccanismo della produzione di energia attraverso la scissione indotta di atomi di uranio (scoperta che nessuna applicazione di nessun principio morale al mondo avrebbe potuto o dovuto impedire, perché attiene alla scoperta di come funzionano le leggi fondamentali che regolano l’universo), la produzione di esplosivi di immane potenza era solo questione di tempo e di avere buoni tecnici.
Non mi sorprende che a un cittadino americano in guerra contro la più allucinante dittatura della storia dell’umanità, lì per lì l’idea del MP sia sembrata il male minore, rispetto all’eventualità di un’analoga scoperta da parte degli scienziati del Führer. Non mi sorprende che, col senno di poi, molti dei partecipanti al Progetto siano stati divorati dai sensi di colpa, ma l’uso sconsiderato che è stato fatto delle armi atomiche, come ho detto, non dipende dagli scienziati del progetto, spinti ANCHE da ragioni ideali, come mi sembrava che avesse spiegato Feynman, ma, soprattutto, dai governi che, negli anni successivi, se ne sono serviti. Poi, certo, si può discutere tutto, anche la moralità della partecipazione di un giovane scienziato a un progetto che gli è stato prospettato come il modo per salvare il mondo, ma non credo che il Manhattan Project, per la sua eccezionalità, possa essere considerato un paradigma efficiente per valutare il modo in cui gli scienziati si rapportano con l’etica, anche se è un ottimo modo per cominciare a parlarne.
Comunque, sul tema della responsabilità dello scienziato rispetto alla sua invenzione, sarebbe stato interessante parlare anche di Von Braun e della costruzione delle V2. Dato che Von Braun, diversamente da Feynman, si trovava al servizio dei nazisti e si rendeva ben conto che la sua ricerca favoriva un folle come Hitler.
sentiti libero di approfondire.
come dicevo sopra, l’episodio di Feynman e’ solo un pretesto per affrontare una discussione; pretesto che mi si e’ presentato visto che in questi giorni sto leggendo quel libro.
mi riallaccio anche brevemente al tuo bellissimo commento di prima:
Diversamente da ciò che dice Sabrina nel primo post, è proprio il contesto storico che deve essere analizzato per giudicare il comportamento dell’uomo-scienziato (come pure del politico).
non intendevo dire che si dovesse ignorare il contesto storico, anzi; cercavo solo di scoraggiare eventuali considerazioni troppo specifiche — per non restare incagliati in un’analisi del Manhattan Project — ed incoraggiare considerazioni di portata piu’ampia.
in questo mi trovo molto d’accordo con vittorio circa il fatto che non credo che il Manhattan Project, per la sua eccezionalità, possa essere considerato un paradigma efficiente per valutare il modo in cui gli scienziati si rapportano con l’etica, anche se è un ottimo modo per cominciare a parlarne.
rigore è quando arbitro fischia… scienza è fin dove etica permette?
Io sono per la responsabilità individuale a tutto campo, non digerisco l’ autoassoluzione da parte di nessuno, le responsabilità sono di chi se le prende consciamente o meno, dal primo all’ ultimo.