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Dai fossili il genoma dei nostri lontani parenti

L’uomo è un animale particolare: anzichè evolvere zanne più affilate, muscoli più potenti, veleni più micidiali, pelle più spessa e altri arsenali da battaglia assortiti, ha perfezionato un sistema programmabile per adattarsi ad un repentino cambiamento delle condizioni operative, che gli altri animali posseggono in misura molto più limitata: l’intelligenza – e alcuni individui più di altri. Eppure, noi Homo sapiens sapiens siamo solamente ora gli unici depositari – unici sopravvissuti – di questa elitaria caratteristica.

Cheese! Il nostro parente più prossimo, l’Uomo di Neanderthal (o quello che ne rimane, probabilmente grazie anche al nostro contributo). Credito ENSEMBL.org

Non so se vi è mai capitato di recarvi allo zoo, ma se guardate uno scimpanzè negli occhi capite davvero che ha una marcia in più (nonostante il vostro cane sia addirittura in grado di azionare le maniglie delle porte: eccezionale!). Tra noi e loro, l’evoluzione ha mietuto molte vittime. Poche decine di migliaia di anni fa, il pianeta ha pianto la scomparsa dell’uomo di Neanderthal, o Homo neanderthalensis, che con ogni probabilità – fosse qui oggi – sarebbe stato in grado di comunicare, anche se magari non verbalmente, con noi. Ma sarebbe stato anche in grado di costruire oggetti complicati, esibire intricate strutture sociali (fabbricavano vestiti e seppellivano i morti: a parte noi, nessun altro animale lo ha mai fatto) e probabilmente di sfoggiare tutta una serie di difetti caratteriali di cui oggi solo noi uomini propriamente detti siamo – per ora – capaci. Ma oggi non c’è un Java (l’assistente dell’arcinoto Martin Mystère) con cui chiacchierare, e noi siamo gli unici eredi viventi del genere Homo, inconsapevoli e ignari delle tragedie che hanno portato all’estinzione di così tante – e qui oso, ma immaginatevi come sarebbe più folkloristico e arzigogolato il nostro sistema legislativo – persone.

Ciò nonostante, non possiamo arrenderci all’idea di non arrivare a conoscere cosa rendeva gli uomini di Neanderthal tali, cosa li rendeva diversi da noi e dallo scimpanzè, per arrivare a capire perchè siamo quello che siamo.
Per questo, abbiamo* estratto DNA dalle ossa dei Neanderthal, e lo abbiamo sequenziato. Eggià. Ma come si può fare una cosa del genere?

Non a caso il DNA è la molecola prescelta per l’archiviazione dell’informazione genetica. E’ estremamente resistente a condizioni chimico/fisiche aggressive, ed è “digerito” da una serie di enzimi che si chiamano DNAsi. Questi ultimi, viceversa, sono relativamente poco resistenti, soprattutto se comparati agli enzimi che degradano il “cugino” del DNA (l’RNA), ossia le RNAsi: sono molecole che funzionano anche dopo essere state bollite. Il DNA, soprattutto in ambiente privo di acqua, si conserva molto bene, ed è possibile leggere le informazioni che contiene anche dopo secoli: nonostante il DNA tenda a frammentarsi, col passare del tempo, i “pezzettini” possono comunque essere letti, ovvero sequenziati. Grazie a macchinari molto complicati (a cui magari dedicheremo un articolo a parte), è possibile preparare il DNA che vogliamo sequenziare in modo da generare in poco tempo tantissime “letture” di circa 50 paia di basi (prendetelo come indicativo, questo numero varia molto a seconda del metodo impiegato e dello strumento, per arrivare anche a oltre 500 paia di basi).
Se queste letture diventano centinaia di milioni, capite bene che – nonostante non si conosca l’ordine esatto di questi pezzi – abbiamo in mano tante informazioni sul genoma dell’uomo di Neanderthal. Se non avessimo idea di come ordinarli, di questi milioni di pezzettini ce ne faremmo ben poco. Però una mezza idea ce l’abbiamo: possiamo allinearli confrontandoli con il nostro stesso genoma.

Immaginate di avere un romanzo. Rompete tutto il testo del romanzo in pezzi da 50 caratteri. Se avete abbastanza tempo (e voglia – ma non lamentatevi, è un esperimento ideale), potete recuperare un’altra versione del romanzo e, meticolosamente, allineare il testo che avete ridotto in pezzettini al testo del romanzo “intero”, che vi serve da canovaccio.
In modo analogo, utilizzando il genoma umano come sequenza di riferimento, è possibile (per l’estrema vicinanza e somiglianza) allineare i piccoli frammenti originati dal sequenziamento del DNA dell’uomo di Neanderthal, per ricostruirne la sequenza originale.

 

Si può liberamente girovagare tra i dati prodotti sul sito di Ensembl. Il database tiene traccia di tutti i “pezzettini” di DNA di cui si parla in questo articolo, ed è possibile addirittura visualizzarli singolarmente. Sulla sequenza di riferimento umana, stiamo osservando un pezzettino di ACTB, il gene della Beta-actina (una proteina strutturale presente in tutte le cellule). Se le letture sono in numero sufficiente (coverage: più è, meglio è), è possibile derivare una sequenza (consensus) del genoma che stiamo indagando. Nel nostro caso, vogliamo sapere la sequenza del genoma dei Neanderthal, naturalmente! Credito: ENSEMBL.org

 

Il lavoro che stanno portando avanti i ricercatori non è ancora del tutto completo, dato che lo stato di conservazione dei reperti (quasi tutti provenienti dalla Croazia, dalla caverna di Vindija) è veramente ai limiti dell’usabile: hanno aspettato di essere raccolti per migliaia di anni. Comunque, anche solo dieci anni fa forse solo una persona avrebbe potuto pensare a un simile risultato: Michael Crichton. Vi dice niente Jurassic Park?

 

 

* mi sono fatto prendere dalla “sindrome del tifoso di calcio”: automaticamente, tutti i progressi del genere umano diventano appannaggio individuale, come quando commentiamo le partite e diciamo “abbiamo fatto goal”.

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Scritto da Piermatteo Barambani Pubblicato il 28 settembre 2011

 

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2 Commenti »

  • Anonimo dice:

    [...] visto un utilizzo pratico di questi sequenziatori di seconda generazione quando abbiamo parlato del genoma degli uomini di Neanderthal. La nuova tecnica che ho scorto su Nature Nanotechnology ha però veramente dell’incredibile. [...]

  • Pesciolini con le dita? O coi polmoni? La nostra discendenza da mostri preistorici | OMG! Science! dice:

    [...] Con una tecnica molto simile a quella descritta in questo articolo. Il lavoro che vi sto raccontando invece è questo [...]