Nanomedicina e Nanotossicologia
Nanomedicina
Nel 1959, il Premio Nobel Richard Feynman utilizzò il termine "nanotecnologia", definendola come una nuova scienza che si occupa di strutture di dimensioni inferiori a 100 nm.
Questa tecnologia sta avendo, ed avrà ancora di più un profondo impatto sulla pratica medica tanto che è stato recentemente introdotto il concetto di “nanomedicina”, definita come quella branca della medicina che si occupa dell’applicazione medica delle nanotecnologie.
E’ sempre più alto, infatti, l’interesse nel trattare molte malattie sociali, come la trombosi cardiovascolare, il cancro, malattie metaboliche e degenerative, infezioni virali o batteriche con nano-microparticelle in grado di caricare il farmaco specifico. A tale proposito, la struttura chimica e le dimensioni di queste nano-microparticelle permetteranno la somministrazione endovenosa e il mantenimento in circolo di un livello adeguato di farmaco (Jain 2008).
Questo permetterà una maggiore efficienza di veicolazione del farmaco all’organo o al tessuto bersaglio senza colpire organi o tessuti sani (Brayden 2003).
Questo tipo di medicina ha come obiettivo il ripristino dei meccanismi fisiologici, e per questo scopo è fondamentale la ricerca di biomateriali “intelligenti” come le molecole bioattive, capaci di raggiungere selettivamente le cellule e ripristinare funzioni biologiche come il differenziamento, i processi di crescita o la bioadesione (Paull et al 2003).
NanotossicologiaL’emergere dell’industria nanotecnologia costituisce un enorme potenziale per la futura crescita economica e scientifica della nostra comunità, ma i rischi che essa comporta sulla salute umana e sull’ambiente che ci circonda non sono ancora completamente conosciuti e documentati.
I materiali nanometrici, infatti, possiedono numerose proprietà chimico-fisiche peculiari che potrebbero avere un impatto imprevedibile sulla sicurezza e sulla salute umana.
L’interazione di questi nanomateriali con organi e tessuti umani ha suscitato oltre ad un’intensa curiosità, un enorme ansia sia nella comunità scientifica che nel pubblico cittadino. Si è assistito quindi alla nascita di una nuova disciplina chiamata “nanotossicologia” che si sta occupando dello studio delle interazioni di queste nanostrutture con i sistemi biologici.
Fino a qualche anno fa questa scienza si è occupata di studi su cellule in vitro, ultimamente si è passati anche a studi in vivo. Questi ultimi risultano però più complicati rispetto ai primi per le interazione di più componenti ed eventi biologici che in vivo si verificano.
L’esposizione della popolazione al nanoparticolato può avvenire indirettamente, o direttamente. L’esposizione indiretta è causata sia da nanoparticolati prodotti da processi naturali come incendi, terremoti ed esplosioni vulcaniche, sia da nanoparticolati derivanti dall’inquinamento atmosferico causato dall’indisciplinato progresso tecnologico che ne ha portato l’accumulo di grandi quantità nel nostro ecosistema (Kagan et al 2005).
L’esposizione diretta può avvenire sia per applicazioni biomediche, terapeutiche o diagnostiche, sia per scopi cosmetici (Friedrichs and Schulte 2007). Possiamo,quindi, dividere le cause di esposizione in:
1.Occupazionale
2.Non intenzionale
3.Per utilizzo di prodotti cosmetici
4.Per utilizzo di prodotti medici
Tutti gli effetti indesiderati dipenderanno dalle caratteristiche fisico-chimiche della superficie e del core delle nanoparticelle (Friedrichs and Schulte 2007; Asiyanbola and Soboyejo 2008). La loro tossicità è riconducibile ad una serie di fattori come proteine seriche con le quali potrebbero reagire, reazioni enzimatiche cellulo-specifiche, biodistribuzione, metabolismo, clearance, risposta immunitaria, velocità di traslocazione, accumulo, ritenzione in siti critici, degradazione, cambiamenti qualitativi e quantitativi nella biocinetica in un organismo malato o compromesso (Friedrichs and Schulte 2007; Rickerby and Morrison 2007).
I nanomateriali presentano un significativo potenziale di rischio, poiché possono essere escreti nell’ambiente dall’organismo che li assume, per poi entrare nell’ecosistema nel quale si disperdono (Liu 2006). In questo modo possono essere inalati per poi depositarsi nelle vie respiratorie, essere ingeriti ed assimilati tramite il tratto gastro-intestinale e depositarsi sulla cute ed essere assorbiti. Da questi siti possono poi traslocare in altri distretti corporei (Friedrichs and Schulte 2007).
Sono necessarie quindi numerose strategie di screening di tossicità per accertare il potenziale rischio che essi presentano, soprattutto se tali nanomateriali presentano una reattività diversa dal loro materiale grezzo. È fondamentale che ogni tipo di nanomateriale sia classificato, caratterizzato e studiato (Chan 2006).
I primi studi di nanotossicologia sono stati focalizzati sulle nanoparticelle prodotte non intenzionalmente, come il particolato atmosferico, ed hanno preso in considerazione la tossicità polmonare associata alla deposizione di particolato nel tratto respiratorio di alcuni animali (Ferin et al 1992; Oberdorster et al 2005), da questi studi è emerso un legame tra mortalità e la quantità di particolato prodotto dagli scarichi di automobili e da altre fonti di inquinamento cittadino (Zhu et al 2005).
Animali da laboratorio esposti a questi particolati, hanno mostrato un aumento dell’infiammazione polmonare e dello stress ossidativo (Ferin et al 1992; Warheit et al 2004; Oberdorster et al 2005) e studi in vitro hanno confermato i dati ottenuti in vivo mostrando un aumento di stress ossidativo, produzione di citochine infiammatorie e apoptosi nelle cellule trattate (Brown et al 2004; Cui et al 2005).
Al contrario delle nanoparticelle prodotte accidentalmente, i nanomateriali prodotti industrialmente possono essere sintetizzati in forme omogenee, con dimensioni e forme definite come, ad esempio, sfere, fibre o tubi. I pochi studi di nanotossicologia su questi nanomateriali ingegnerizzati hanno preso in considerazione la dimensione, forma e dose, relazionandoli ad un effetto biologico, cercando di capire se fosse possibile elaborare un modello biologico in cui ritrovare un profilo tossicologico specifico per le differenti proprietà (Oberdorster et al 2005).
Le dimensioni sono inversamente proporzionali all’attività biologica causata dalla nanoparticella. Infatti più piccole sono le particelle e maggiore sarà l’area di superficie a parità di massa rispetto a particelle più grandi, maggiore sarà anche la probabilità di avere interazioni con il sistema biologico (Warheit 2004). Nanoparticelle di diverse dimensioni e composizione chimica possono preferenzialmente localizzarsi nei mitocondri in cui inducono il maggior danno strutturale contribuendo allo stress ossidativo (Li et al 2003).
La carica di superficie determina il passaggio attraverso della barriera emato-encefalica, infatti nanoparticelle neutre e anioniche possono essere impiegate come carriers per veicolare farmaci all’encefalo, mentre nanoparticelle cationiche provocano un immediato effetto tossico alla barriera emato-encefalica (Lokman et al 2004).
Il coating svolge un ruolo fondamentale nel prevenire la tossicità, QD (Quantum Dot) di Cadmio-Selenio (CdSe) provocano tossicità acuta in cellule epatiche primarie per la liberazione di ioni Cd2+ a seguito del deterioramento del reticolo di CdSe, il rivestimento di questi QD con materiale non deteriorabile ne elimina la tossicità (Derfus 2004). QD commerciali con diversi tipi di rivestimento superficiale hanno evidenziato, in cheratinociti, diversi effetti citotossici a seconda del coating (Ryman-Rasmussen et al 2007).
Nanoparticelle di carbonio, fullereni e nanotubi, e i quantum dots possono creare specie reattive dell’ossigeno determinando un danno sia in vitro che in vivo (Oberdorster et al 2005).
I nanotubi di carbonio single-walled possono causare, a livello polmonare infiammazione dopo instillazione (Warheit et al 2004; Cui et al 2005), in cellule epiteliali bronchiali ed in cheratinociti hanno indotto un aumento dei markers dello stress ossidativo (Monteiro-Riviere et al 2005).
I nanotubi multi-walled persistono nelle parti più profonde del polmone, sono in grado di indurre sia una risposta infiammatoria mediata da citochine, che fibrotica, si localizzano nei vacuoli citoplasmatici portando ad un aumento del rischio di carcinogenesi (Shvedova et al 2005). Questi nanotubi sulle cellule epiteliali umane in vitro, hanno causato l’attivazione dell’espressione di molte proteine implicate nel controllo della crescita cellulare, causando così un’inibizione del ciclo cellulare, alterazione dell’esocitosi e del traffico vescicolare, un espressione sregolata dei filamenti intermedi e una down-regolazione delle proteine scaffold di membrana (Monteiro-Riviere et al 2005).
Oggi le industrie produttrici tendono più a sviluppare e produrre nuovi nanomateriali piuttosto che effettuare un attenta valutazione della loro sicurezza. Pertanto, è necessario migliorare la caratterizzazione fisico-chimica dei nanomateriali prodotti e incrementare ulteriormente gli studi di citotossicità al fine di preservare l’ambiente e la salute umana.
Rosa Curci
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