Colloquio con Renato Dulbecco: «Perché dico 4 volte S» La legge 40 è folle. E umiliante per la medicina. Perché impedisce di combattere i killer del nostro tempo.
E' un’umiliazione per la medicina: non è tenero il giudizio sulla legge 40 del premio Nobel per la medicina e presidente onorario del Comitato scientifico internazionale di Telethon, Renato Dulbecco. Lui se ne sta laggiù, nella terra della speranza per ogni bioscienziato, la California che a stragrande maggioranza ha approvato con uno specifico referendum popolare una disposizione che autorizza e finanzia la ricerca sulle cellule staminali embrionali.
E guarda al referendum che aspetta la sua povera Italia con un misto di incredulità e sconforto. No, gli scienziati proprio non capiscono perché, per legge, da un lato si impedisca loro di cercare terapie per i peggiori mali; e, dall'altro, si proibisca di usare quanto hanno scoperto sino a oggi per prevenire la nascita di bambini malformati destinati a una vita di sofferenze, come fa questa legge con lo stigma sulla diagnosi prenatale. E Dulbecco, presidente emerito del Salk Institute for Biological Studies a La Jolla. e come gli altri: rispettoso di ogni convinzione religiosa, ma profondamente convinto che scienza e religione siano linguaggi affatto diversi, e che, in fondo, la teologia non c’entri niente con la medicina e il suo dovere di curare le malattie: un mandato molto terreno, molto più semplice di qualunque disquisizione etica.
Professor Dulbecco, il 12 giugno gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi sul referendum abrogativo di quattro articoli della Legge 40-2004. Uno di questi quesiti propone agli elettori di eliminare le norme che vietano qualunque tipo di ricerca scientifica su embrioni a qualunque stadio di sviluppo, estendendo il divieto non soltanto agli embrioni che si produrranno nel futuro ma anche a quelli sino a oggi congelati. Cosa ci perdiamo?
«Sappiamo ben poco di queste cellule. Ma ciò che sappiamo ci indica chiaramente che possono essere la strada per arrivare a battere i grandi killer del nostro tempo, dall' Alzheimer, al Parkinson al cancro».
Alcuni importanti scienziati sostengono che le staminali embrionali non sono indispensabili. E che le terapie più promettenti si incontrano lavorando sulle cellule staminali adulte che non pongono problemi etici. È d'accordo?
«Questo è un argomento di cui si è dibattuto a lungo e su cui è bene essere chiari. Inizialmente si pensava che le cellule staminali potessero essere trovate soltanto negli embrioni, vero e proprio serbatoio di cellule indifferenziate capaci di generare, e quindi rigenerare in caso di malattia, tutti i tessuti del corpo umano. Poi, si è scoperto, invece, che quasi tutti gli organi hanno cellule staminali progredite che hanno funzioni specifiche in quel particolare organo e che possono essere utilizzate per ripararlo. Non solo, altri studiosi hanno riscontrato come queste cellule d'organo possano dar luogo a diversi tessuti, e questa scoperta ha fatto pensare che si potesse rinunciare alle embrionali. Ma non è così. Innanzitutto perché altre ricerche hanno dimostrato che le staminali dei diversi organi non sono così potenti come le embrionali. E poi, perché, comunque noi non sappiamo esattamente quali siano tutte le loro potenzialità».
Insomma, limitare il lavoro scientifico alle staminali adulte significa rinunciare a sapere cosa c'è dietro l'angolo?
«Esattamente. Ma non solo. Perché noi sappiamo bene che, se è vero che le staminali di ogni organo possono essere utilizzate per riparare quell’organo, e che le staminali del midollo Osseo possono funzionare in diversi organi, sappiamo anche che le embrionali possono rigenerare qualunque cosa. Dunque, sappiamo che non c'è paragone tra quanto sì può fare con le adulte, e già oggi spesso si fa per fortuna, e quello che si farà con le embrionali»
Cinicamente si potrebbe però dire: questi sono studi che pongono problemi etici, lasciamoli fare agli altri, godremo ugualmente dei risultati della ricerca fatta in paesi che hanno una diversa sensibilità religiosa.
«In Italia questa è la regola. Prenda ad esempio la ricerca farmaceutica: un tempo in Italia se ne faceva tanta e di buona qualità, e c'erano industrie in grado di produrre terapie innovative. Oggi, non è più così. L’ Italia è solo un mercato di farmaci studiati e pensati altrove che noi ci limitiamo a comprare senza poter influire sul modo in cui sono stati scoperti o sulle regole che ne determinano efficacia e sicurezza. Sarà così anche per le terapie messe a punto grazie alle cellule staminali»
Questo ha dei costi sul piano della modernizzazione del paese?
«Lei che ne dice?».
Condannati all'emarginazione scientifica, dunque. Ma forse anche un po' opportunisti: quanto è etico mettere la testa sotto la sabbia sapendo che tanto poi godremo ugualmente dei benefici delle staminali?
Se dobbiamo discutere di questi temi, che esulano l’ambito scientifico, io premetto che rispetto tutte le opinioni. Io ho la mia, ma insomma...»
E qual è la sua?
«Penso che dobbiamo cercare di fare bene il nostro mestiere: cercare terapie per le malattie che affliggono l'uomo. E per far questo è necessario che ci diano i mezzi per farlo. Impedirci di lavorare sugli embrioni non ci mette nelle condizioni migliori».
Ma un paletto alla ricerca deve pur esserci?
«Si, e in molti paesi ci sono limitazioni all' uso degli embrioni umani per la ricerca biomedica che stabiliscono il limite dei 14 giorni dalla fertilizzazione del gamete femminile, oltre i quali scatta il divieto. Mi pare un limite scientificamente ragionevole e accettabile».
É il dettato della legge inglese. Ma il nostro è un paese cattolico.
«E’ vero, e nel rispetto delle convinzioni di ciascuno possiamo anche discutere ulteriori limitazioni. A molti, a esempio, sembra ottuso il divieto di utilizzare gli embrioni congelati, risultato di precedenti interventi di fecondazione assistita e mai impiantati nell'utero della madre. Sono embrioni destinati a morire, e a essere buttati via: perché non accettare che siano donati alla scienza per la ricerca di nuove terapie».
È quanto chiede l'Accademia dei Lincei. E quanto molti scienziati cattolici indicano come un terreno di compromesso possibile.
«Ho detto che non esprimo opinioni sulle convinzioni religiose, io mi occupo di cose medico-scientifiche. So soltanto che gli embrioni che giacciono congelati basterebbero a lavorare tantissimi anni e a permetterci di scoprire nuove strade».
Un altro dei quesiti referendari riguarda la proibizione, sancita dalla Legge 40, di effettuare diagnosi precoce sugli embrioni. Secondo lei, ha senso?
«Non ha nessun senso. Mettiamoci davanti a questo piccolo numero di cellule che viene chiamato embrione: potergli prelevare una cellula per sapere se è affetto da malattie gravi a me pare un grande progresso medico, molto utile per l’uomo. Proibirlo è un insulto alla medicina».
Non crede allora che questo divieto sia umiliante per i genetisti impegnati a prevenire queste malattie?
«Noi lavoriamo per battere le patologie che affliggono l'umanità. E molto del lavoro dei genetisti ha proprio come immediata applicazione la possibilità di scoprire le malattie ereditarie. Se la legge impedisce di mettere in pratica questo lavoro, io francamente non capisco perché si continui a fare ricerca scientifica»
Cosa ci preclude allora questa legge?
«Pensiamo alla possibilità che ci offre la terapia genica sull'embrione: prelevare qualche cellula e curare molte malattie terribili che affliggeranno il bambino e l'adulto. Senza il lavoro scientifico sull'embrione questo non sarà mai possibile, ad esempio. Ma l'elenco è lungo».
Lei vota in Italia?
«No»
E cosa consiglia agli elettori italiani?
«Quattro sì. Per battere i grandi killer».
29 Aprile 2005 , L'Espresso